Il museo Mudec di Milano dedica una mostra a una delle pioniere della storia della fotografia: Tina Modotti. La sua incredibile storia personale si intreccia con gli avvenimenti politici del Messico dei primi anni ’20, paese che l’adotterà e dove le sue foto diventeranno i simboli della rivoluzione e del popolo, del lavoro e della forza del riscatto. Le sue immagini parlano di una realtà che lei stessa conosce bene perché l’ha vissuta sulla sua pelle: la condizione di miseria e di povertà che porteranno lei e la sua famiglia a emigrare in America in cerca di una vita migliore.
A Los Angeles Tina non passa inosservata, la sua bellezza italiana è considerata molto sensuale, esotica e riceve richieste per partecipare alle prime produzioni di Hollywood come attrice (il suo film più importante è The Tiger’s Coat). La svolta avviene quando incontra il fotografo Edward Weston. Decidono di partire insieme per il Messico. In questa fuga passionale Tina impara a fotografare e a conoscere i segreti di questa nuova arte. È il 1923, da quel momento ha inizio la sua trasformazione iniziando a lavorare come fotografa e come rivoluzionaria. In Messico entra in contatto con l’ala radicale del partito comunista e dal 1927 fa ufficialmente parte del gruppo. Dopo la violenta uccisione del suo compagno, il rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella, intraprende un ultimo memorabile reportage sulle donne della regione del Tehuantepec. L’intensità delle sue immagini racconta la forza di queste donne forti e belle, è un lavoro straordinario dal quale emerge sottotraccia il dolore di Tina. Il suo periodo artistico come fotografa culminerà con una mostra nel dicembre del 1929 pubblicizzata come “la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. Subito dopo parte per l’Europa, abbandona quasi completamente la fotografia in favore dell’impegno politico. La sua morte prematura, avvenuta il 5 gennaio 1942 a soli 46 anni, lascia i suoi amici sgomenti e perplessi. Qualcuno sostiene sia stata uccisa o forse il suo cuore non ha semplicemente retto di fronte agli orrori della guerra e della sofferenza. Pablo Neruda le dedica una bellissima poesia, un epitaffio che consacra la sua immortalità:
“Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco”.
— Tina Modotti. Donne, Messico e libertà. Fino al 7 novembre 2021 al Mudec di Milano.