Lucia Tarantola si occupa a Milano di restauro di opere d’arte su carta da oltre trent'anni e ha aperto un secondo studio a Verona dieci anni fa. Il suo lavoro potrebbe essere vicino a quello del medico chirurgo, infatti si presenta con camice bianco e ispeziona le opere in maniera attenta, meditando profondamente sulla diagnosi e poi facendo un intervento il più possibile reversibile, che possa essere sempre rimosso in futuro, se necessario. Il suo è un lavoro di testa, di pazienza, di leggerezza e curiosità per la bellezza inventata dagli artisti.
Paola Lambardi: Come hai iniziato a fare questo lavoro? Qual è il tuo percorso di studi e come ti sei specializzata nel restauro della carta?
Lucia Tarantola: Mi sono avvicinata all’arte nelle Scuole superiori, frequentando Milano l’Istituto d’Arte Beato Angelico e mi ricordo che già in quarta mi domandavo: cosa farò? Cosa mi piacerebbe fare? Ho pensato al restauro, e non saprei dire esattamente da dove sia nato questo desiderio, forse perché la mia scuola aveva eseguito il restauro della chiesetta di San Pietro al Monte di Civate e avevo subito il fascino di questo lavoro. La stessa scuola mi ha indirizzata a un restauratore di dipinti su tela, che li seguiva e collaborava con loro. Dopo la maturità ho frequentato per qualche anno il suo studio e ho iniziato ad imparare per così dire “a bottega”, lavorando sia nel laboratorio che nei cantieri esterni. Presto mi sono resa conto non mi era sufficiente lavorare e imparare con le mani, ma avevo bisogno di conoscere, di studiare, per crearmi una buona base teorica, senza la quale sarei stata solo un’esecutrice e non avrei avuto le capacità teoriche e mentali di decidere cosa è meglio fare nell’affrontare un problema di restauro. Quindi ho deciso che avrei voluto frequentare una scuola specifica e mi sarebbe piaciuto poter entrare all’Opificio delle Pietre Dure a Firenze dove però si accedeva solo tramite concorso. Ho provato tre anni di fila e finalmente sono riuscita a entrare. Nel frattempo tra un concorso e l’altro, continuavo a frequentare e lavorare nello studio di questo restauratore. Al terzo tentativo del concorso, era uscito il bando specifico per il restauro delle opere d’arte su carta e l’ho scelto. Non è stata una decisione molto meditata, anzi un po’ casuale… Ho pensato che c’erano già molti restauratori di dipinti, mentre nel settore della carta mi è sembrato ci fossero più possibilità, per entrare alla scuola e nello stesso tempo con meno concorrenza per trovare lavoro. Non sapevo esattamente cosa aspettarmi dal restauro della carta, ma mi sono appassionata subito. Mi sono resa conto che il disegno o il bozzetto di un’opera mi piace di più che il dipinto finito, perché nel bozzetto vedi proprio la mano, l’istinto, vedi molto meglio l’artista che nell’opera finale. Dopo quattro anni di scuola a Firenze dovevo decidere se tornare a Milano oppure no. Ovviamente mi sarebbe piaciuto molto rimanere, ma razionalmente ho deciso di tornare a Milano perché nel 1988 i restauratori della carta erano pochissimi e avrei avuto più possibilità. Con il diploma dell’Opificio delle Pietre Dure mi sono presentata ad alcune Istituzioni Milanesi e ho avuto la fortuna di iniziare subito lavorare, aprendo subito la partita iva necessaria per lavorare con gli enti pubblici.
PL: Quindi hai iniziato a lavorare perché ti sei proposta spontaneamente?
LT: Avevo una bellissima lettera di presentazione del direttore della scuola che allora era Antonio Paolucci — ex Ministro dei beni culturali, ex direttore dei Musei vaticani — peccato che non ne ho tenuto una copia… Questa lettera l’ho consegnata alla direzione dei Musei Civici del Castello Sforzesco, in Soprintendenza, in due o tre posti, non tanti. Subito i Musei Civici mi hanno chiamato per restaurare dei disegni di un certo livello: come primo incarico addirittura dei Boccioni! E poi da lì è nato tutto un po’ in maniera naturale, con il passaparola, a Milano ha funzionato molto bene e per tantissimi anni non c’era quasi concorrenza.
PL: Mentre adesso ci sono dei corsi nuovi con il cambio di ordinamento?
LT: Adesso per fare il restauratore in maniera seria, è necessario frequentare un corso di laurea magistrale a ciclo unico (un quinquennio) in Conservazione e Restauro di Beni Culturali (LMR02). Per il restauro della carta (perché è suddiviso in tanti percorsi a seconda dei settori) si sceglie il percorso formativo n. 5: materiale librario e archivistico, manufatti cartacei, materiale fotografico, cinematografico e digitale.
PL: Quindi non solo la carta, sembra molto completo adesso.
LT: Si, la mia formazione è stata diversa, era incentrata solo sul restauro di opere d’arte su carta, qualcosa anche in pergamena. Quando studiavo c’era una netta distinzione tra chi restaurava le opere d’arte su carta e chi restaurava i libri. Allora si riconosceva subito l’intervento di chi si era specializzato in libri. Nel libro devi mantenere la funzionalità, le pagine le devi poter sfogliare, l’intervento deve essere molto solido. Un’opera d’arte su carta, una volta restaurata, non richiede la stessa resistenza, la monti su un passepartout e non devi quasi più toccarla. Quindi anche i tipi di adesivi sono più blandi, ma la cosa più importante è che nell’opera d’arte su carta è molto importante anche curare l’estetica dell’intervento. Invece nei libri, in quegli anni cioè 30 anni fa, gli interventi non contemplavano le operazioni estetiche di ritocco, le integrazioni delle parti mancanti nelle pagine risultavano molto evidenti, di tono molto più chiaro rispetto all’originale. Ora la situazione è molto differente e le modalità di intervento sulle opere su carta e sui libri si sono avvicinate.
L’iter di studio attuale oltre alle opere su carta e libri e documenti, comprende anche il restauro delle fotografie (su diversi tipi di supporti, non solo carta) e anche il materiale cinematografico e digitale. È richiesto questo percorso che comprende un po’ tutto e poi nella fase finale degli studi t’indirizzi in un ambito specifico con la tesi, per approfondire e specializzarti in uno degli ambiti del percorso formativo…
PL: Quindi in questo settore è meglio capire come trovare una propria specializzazione?
LT: Si, perché hai più possibilità di lavorare. Per esempio conosco una collega emiliana che si è specializzata nei globi, nei mappamondi, e la cercano anche dall’estero. Bisogna trovare la propria nicchia in questo grande settore. La parte cinematografica e digitale può avere delle buone prospettive nel futuro, mi sembra una buona strada di ricerca.
PL: In effetti in questo momento diventa importante conservare i file digitali che spesso si smaterializzano per svariate cause, anche lì ci sarà bisogno di capire come fare a preservarli.
Per tornare al tuo lavoro, che abilità sono richieste?
LT: Oltre alla manualità, ci vuole tanta testa. Perché prima di mettere mano su un’opera, devi meditare, devi cercare di capire che cosa hai davanti. Pensare a quali possono essere le soluzioni per intervenire: approfondire, documentarti, confrontarti, avere questa capacità e umiltà di chiedere consiglio a qualcun altro. Ora è molto più facile con i social o il “gruppo restauratori” su whatsapp: puoi conoscere, chiedere e scambiare informazioni, aiuto, mentre fino a un po’ di anni fa era difficile anche incontrarsi. Avere la testa aperta per recepire e poi essere sempre aggiornati, sulle novità da provare, testare… E una cosa che forse arriva nel tempo, la pazienza, l’organizzazione e la capacità di aspettare e di riconoscere i tempi giusti per le cose. Non avere fretta. Perché se un’opera richiede un intervento di due giorni, non puoi pretendere che sia finito prima. Questa attenzione diventa molto educativa anche nella vita in generale. Ho notato che il mio lavoro mi ha formato anche in altri aspetti.
PL: Sembra molto Zen…
LT: Beh si, passi molto tempo da solo. C’è il rapporto con l’opera e con quello che stai facendo. Delle volte ho la radio accesa, ma la mia mente non segue, sono molto concentrata su quello che sto facendo, totalmente assorbita. Sicuramente bisogna avere una grande passione per dedicarsi a questo lavoro. Perchè non è facile anche sul piano economico, però con il tempo e dedicandosi seriamente, riesci a ottenere dei buoni risultati.
PL: Questo è molto bello: un lavoro che ti restituisca la capacità di affrontare le cose della vita, con questa calma che spesso ormai ci sfugge per i ritmi sempre troppo veloci.
LT: Invece nel restauro il tempo giusto è importante.
PL: Quanti siete come restauratori in Italia?
LT: Ah non saprei, nel gruppo siamo più di 300.
PL: Ah tantissimi!
LT: Da quando hanno istituito questo percorso molto regolamentato, ci sono tantissimi corsi ufficiali come quinquennio e possono essere nelle scuole del Ministero come l’Opificio delle Pietre Dure, l’Istituto Centrale del Restauro o la Scuola di Restauro di Ravenna o l’Istituto di Patologia del libro. Poi ci sono i corsi Universitari, come quello di Tor Vergata a Roma o Venaria a Torino e le Accademie di Belle Arti che siano accreditate per il quinquennio. Quindi i corsi che danno la Qualifica di Restauratore di Beni Culturali sono tanti. Esistono poi i corsi triennali, con cui consegui il diploma di tecnico del restauro, ma che non ti permette di avere incarichi diretti dagli Enti Pubblici, puoi solo lavorare con i privati, se l’opera non è notificata. Adesso la concorrenza è veramente tanta, non è facile trovare lavori, a me arrivano tantissimi curriculum di neo laureati…
PL: Prendi ogni tanto qualche persona nel tuo studio?
LT: È capitato raramente, sia perché lo spazio non me lo consente e perché non ho una regolarità di lavoro che mi permetta di prendere un assistente. Se operassi nel restauro di libri forse sarebbe più facile, per via della ripetitività delle operazioni su un grosso numero di pagine. Invece con i lavori che ho normalmente, ogni caso è a sé stante, devo capire e studiare l’intervento ogni volta e mi è difficile programmare il lavoro di una persona che sta iniziando… per non parlare del compenso: purtroppo un assistente è un impegno economico che non posso permettermi. Uno studio più grande e più strutturato ha sicuramente questa possibilità. Mi sembra comunque assurdo che lo Stato abbia istituito tutti questi corsi senza organizzare dei percorsi di lavoro post laurea per tutti i nuovi diplomati.
PL: Ci sarebbero delle possibilità di lavoro nelle istituzioni o nei musei? Perché sembra difficile grazie alla burocrazia italiana.
LT: Per lavorare negli enti pubblici devi per forza fare un concorso e l’ultimo è di 4 anni fa. Quello precedente era 25 anni prima, quindi è davvero complicato. L’unica possibilità è trovare il modo per essere inseriti all’interno delle scuole che si è frequentato con degli incarichi a progetto. Qualcuno collabora con la scuola di Venaria o anche con l’Opificio, ma sono periodi brevi e credo che richiedano di aprire la partita iva. Anche per collaborare con studi di restauro la partita iva è indispensabile, è molto più difficile venire assunti, per i costi molto alti da sostenere con dei dipendenti. Ultimamente la “Ales” (Arte Lavoro e Servizi S.p.A), società in-house del Ministero della Cultura fa assunzioni a tempo determinato per incarichi a tempo determinato all’interno di strutture statali.
PL: Qual è stata la tua esperienza in questo settore più significativa? Vuoi raccontare un aneddoto?
LT: Non saprei individuarne una più significativa, ce ne sono tante ma forse posso descriverti le foto che ti ho inviato perché spiegano meglio la varietà del mio lavoro. Normalmente intervengo su opere bidimensionale: disegni, stampe, fotografie. Gli interventi particolari per me sono quando l’oggetto è tridimensionale. La terza dimensione è un aspetto per me totalmente inusuale e richiede di lavorare in una maniera diversa. Nelle prime due foto sono al lavoro su una testa di cartapesta che è un’opera di Gaetano Dal Monte, uno scultore, ceramista faentino che si era specializzato anche nei lavori in cartapesta, arte appresa dal padre. Studiando questo artista ho scoperto che durante la Guerra aveva aderito alle Squadre di Azione Partigiana e le grandi sculture di cartapesta che avevano nel laboratorio servivano per nascondere le armi.
PL: Si scoprono storie incredibili con il tuo lavoro…
LT: Si, davvero. Per questa testa in cartapesta dovevo ricostruire la punta del naso che mancava e ho eseguito una specie di intervento di chirurgia plastica con la polpa di carta. Per prima cosa ho fatto una prova a disegno per cercare di capire, seguendo il profilo, come doveva essere la punta del naso, e poi l’ho ricostruito, e infine ritoccato come si vede nella foto.
Un altro esempio di opera tridimensionale sono i fiori di cartapesta con la base in legno delle foto successive: sono dei modelli botanici dell’’800, della manifattura tedesca Brendel. Venivano usati nelle scuole, per mostrare alcune specie di fiori, molto ingranditi per permettere di vedere bene tutte le parti. Ne esistono anche di apribili per vedere l’interno. È stato un lavoro complesso perché erano parecchio fratturati e ho dovuto riconsolidarli e rimetterli in forma. Nella foto si vede una Viola comune, mentre quello bianco è il Conium che è il fiore della cicuta, una pianta erbacea velenosa che ha un’infiorescenza a ombrello. Il fiore è in realtà piccolissimo e questa è una vera e propria rappresentazione gigante del fiore. In un’epoca dove non era ancora in uso la fotografia, avevano la funzione di modelli realistici su cui studiare. Pare siano degli oggetti molto richiesti in questo momento…
Poi ho aggiunto le immagini del “The Souper Dress” della Campbell Soup di Andy Warhol, un oggetto curioso: un vestito di carta in fibra di cotone, tessuto con un filo molto sottile, molto delicato, datato 1966/67 che veniva regalato con i punti della zuppa Campbell. La cosa divertente è che veniva accompagnato con un foglio d’istruzioni su come pulirlo (non lavarlo, naturalmente), le righe gialle al bordo servivano per poterlo tagliare a seconda della lunghezza desiderata. Ne sono ovviamente restati pochi in giro, e questo in particolare aveva numerosi strappi, perché il proprietario lo aveva tenuto per tanto tempo su un manichino, quindi il peso verso il basso aveva causato lacerazioni orizzontali. Non è stato facile lavorare perché avevo un oggetto ‘doppio’ e non potevo aprirlo, ho dovuto creare una controforma in cartone che inserivo per lavorarci, mi sono dovuta inventare il sistema di come restaurarlo perché era davvero un caso inusuale.
PL: Ma era firmato da Andy Warhol?
LT: No, era solo autorizzato. Non so quanti vestiti sono stati distribuiti, però il riferimento era chiaro…
PL: Dopo il tuo intervento che consigli dai al proprietario per preservare l’opera?
LT: In questo caso gli ho praticamente fatto una fodera in carta adesa all’interno, quindi è molto più resistente, però l’ho sconsigliato di rimetterlo sul manichino per via di questa trazione verso il basso. Gli ho consigliato di montarlo in una teca con delle linguette che lo sorreggano tutto intorno, in modo da distribuire il peso su più punti.
PL: Vedo il modellino di una facciata molto importante.
LT: Si, è il restauro del modellino in cartone della Concattedrale di Gio Ponti a Taranto. Questa foto l’ho presentata a un concorso fotografico perché rappresenta il prima e dopo il mio intervento. L’opera è arrivata completamente a pezzi, alcuni raccolti in piccole scatole, da ricomporre come un puzzle. Grazie a una serie di foto che mi hanno consegnato i proprietari che erano state ricevute dagli eredi, e alla ricerca fotografica che ho fatto, sono riuscita a ricostruire la struttura tridimensionale di questa facciata.
PL: Quanto tempo ci vuole per un restauro del genere?
LT: Questo lavoro in particolare è stato molto lungo, la ricerca richiede molto tempo. Devi cercare la documentazione per capire bene il lavoro. Sulla scalinata c’erano dei triangolini in cartoncino (forse a rappresentare in modo stilizzato delle persone) e ne ho dovuto ricostruire parecchi perché ne erano rimasti molti meno rispetto a quelli presenti nella foto. Nel progetto e nella realizzazione finale la facciata si specchia in una grande vasca con un bellissimo gioco di riflessi.
PL: Ti capita di dover ricostruire anche la carta?
LT: Dove le carte presentano lacune, le ricostruisco normalmente usando carte giapponesi che faccio arrivare direttamente dal Giappone. Sono carte realizzate a mano in laboratori artigianali secondo i metodi antichi, utilizzando la polpa del gelso da carta. Per le opere moderne occidentali preferisco invece usare carte occidentali, realizzate artigianalmente con fibre di cotone, canapa o lino. La materia prima è molto diversa e diverso l’effetto: la carta giapponese rimane sempre un po’ più trasparente anche se metti tanti strati, ed è sempre molto ambrata. Per opere con carte molto chiare, spesse e compatte, utilizzo invece le carte occidentali.
PL: C’è questo lavoro su fondo verde, floreale, ce ne vuoi parlare?
LT: Si tratta di un pannello rivestito da una carta cinese dipinta, ma potrebbe essere anche una Chinoiserie, cioè una decorazione eseguita in occidente sul modello orientale, che andava molto di moda dalla fine del XVIII secolo. Il decoro rappresenta un intreccio di rami con fiori e uccelli su un fondo verdino. Facendo una ricerca iconografica, ho trovato carte molto simili nell’archivio del V&A Museum di Londra. Erano due pannelli in legno a cui erano incollate queste carte ed erano situati sulle due pareti della sala da pranzo di un appartamento privato a Milano. Prima del trasloco il proprietario mi ha contattato per controllarle ed eseguire interventi di manutenzione, prima di ricollocarle nella nuova abitazione. L’intervento sì è incentrato soprattutto sul fissaggio di sollevamenti e sul ritocco di cadute di colore. Ho dovuto ripristinare soprattutto le parti basse perché essendo in una casa si erano parecchio danneggiate in quei punti dove spesso si tocca la parete. Questi pannelli erano pesantissimi e il trasporto è stato un incubo perché per dimensione non entravano nell’ascensore. Ecco uno dei paradossi che ogni tanto capitano nel lavoro. Pensi che il restauro della carta sia una cosa delicata, leggera…
PL: Vista la globalizzazione, la velocità nella movimentazione delle merci in questa nuova epoca ‘Amazon’, favorisce anche la richiesta di restauro dall’estero?
LT: Il lavoro dei fiori Brendel mi è arrivato da Parigi per esempio, quindi ogni tanto, attraverso il passa parola, può capitare.
PL: Mentre la foto con una serie di opere, la vorrei commentare nel dettaglio con te.
LT: In effetti in questa foto ti rendo conto delle diverse provenienze: quello nel mezzo è il disegno del progetto delle suole Vibram, perché tra i settori d’intervento ci sono anche gli archivi delle aziende. Per esempio la Vibram ha circa 300 disegni tecnici su fogli da lucido che servivano per la produzione degli stampi delle loro suole brevettate.
PL: Questo è un tipico progetto di design, infatti ti volevo chiedere se, oltre all’architettura, all’arte o alle arti applicate, le aziende si rivolgono a te per la conservazione dei loro archivi?
LT: Si, alcune hanno un forte interesse nel mantenere e preservare i loro archivi. Per esempio anche i bozzetti delle grafiche e delle pubblicità. Ho lavorato tanto con la Pirelli e loro hanno dei bellissimi bozzetti grazie alla lunga storia nella comunicazione e dove hanno lavorato tantissimi grafici e designer importanti.
PL: La migliore grafica italiana…
LT: Mi ero innamorata dei bozzetti di Bob Noorda.
PL: Poi erano tutti fatti a mano questi lavori!
LT: Il primo grosso lotto di bozzetti (non ricordo quanti ne ho restaurati, sicuramente più di 300) copriva un arco di tempo dagli anni ‘20 fino agli inizi degli anni ’60, ed erano realizzati soprattutto a tempera, le parti scritte a china, tutto completamente fatto a mano. Dalla fine degli anni ‘60 fino agli anni ’80 i bozzetti sui quali ho lavorato erano già i layout per la stampa, dove le frasi erano stampate (fotocomposte) ed è interessante vedere come prima del computer era tutto un “taglia e incolla” con la Cow Gum (una colla riposizionabile molto usata in quegli anni, fornita di una paletta per la sua applicazione, ndr), te la ricordi?
PL: Come no! Ho iniziato a fare grafica proprio a cavallo di questa evoluzione.
LT: La paletta della Cow Gum la uso sempre quando preparo la colla, una pasta d’amido giapponese che devo cucinare e poi va passata al setaccio (sempre giapponese) e in quella fase la uso sempre e devo dire che sono particolarmente affezionata a questo oggetto.
Per tornare alla foto di gruppo: a destra del ‘chiodo’ Vibram, c’è un’incisione di Fattori, poi più a destra c’è un’incisione di Boccioni, salendo c’è una foto con delle finestre di Ghirri dove non ho fatto molto perché le foto sono molto delicate, se fai le cose sbagliate le rovini per sempre… C’è un trittico, ed è un’opera giapponese dell’800. Come vedi c’è molta varietà, devi ogni volta resettare la mente e adeguarti all’opera che hai di fronte, quindi anche l’approccio è diverso, ed è molto bello perché non è mai monotono
PL: Per concludere: cosa consigli a un giovane che vuole fare questo tipo di percorso in particolare sulla carta?
LT: Seguire l’iter che si diceva prima, perché andare a bottega non è sufficiente. Ci vuole anche tanta teoria, occorre studiare la chimica, la fisica, cose che in una bottega non puoi imparare e poi ci vuole anche la qualifica, il pezzo di carta fondamentale per lavorare. La formazione teorica permette una maggiore sicurezza per affrontare il lavoro e poi è necessario mantenersi sempre aggiornati e restare flessibili a tutte le possibili soluzioni. Per cercare opportunità e per approfondire gli studi, consiglio di fare un’esperienza all’estero, perché nei musei si possono fare degli stage e appena prima di laurearsi si può iniziare a cercare borse di studio, bandi all’estero.
PL: In particolare all’estero c’è un paese che consigli per questa particolare attenzione al restauro delle opere su carta?
LT: C’è sicuramente il British Museum, la Bristish Library a Londra dove in generale ci sono tante istituzioni, ma anche a Parigi, al Louvre, ai Musei Vaticani, in Olanda ad Amsterdam al Rijksmuseum. Poi Stati Uniti, Canada. Tutti offrono stage dove restare per periodi anche abbastanza lunghi.
PL: In Cina?
LT: Non so, non conosco dove poter studiare e approfondire il restauro in Cina. Ma per imparare il restauro con le loro tecniche si può fare richiesta per un tirocinio presso il “Hirayama Conservation Studio”, che è il laboratorio di restauro di arte orientale del British Museum di Londra. Per le opere giapponesi sono stata, grazie all’associazione Tobunken, a Berlino nel museo di Arte Orientale, dove ho seguito un corso che trattava i fondamenti base per intervenire sulle opere giapponesi secondo le loro tecniche e tradizioni. Tra l’altro organizzano corsi anche in Giappone e un giovane può certamente far domanda per partecipare.
PL: Grazie Lucia per la tua gentile disponibilità a parlare del tuo lavoro.
Link utili per chi vuole approfondire l'arte del restauro:
https://www.miur.gov.it/restauro
http://www.centrorestaurovenaria.it/
http://www.opificiodellepietredure.it/
http://www.icr.beniculturali.it/
https://www-2020.conservazionerestauro.lettere.uniroma2.it/
https://dger.beniculturali.it/istituto-centrale-per-la-patologia-degli-archivi-e-del-libro/
https://corsi.unibo.it/magistralecu/ConservazioneRestauroBeniculturali
Lucia Tarantola si occupa a Milano di restauro di opere d’arte su carta da oltre trent'anni e ha aperto un secondo studio a Verona dieci anni fa. Il suo lavoro potrebbe essere vicino a quello del medico chirurgo, infatti si presenta con camice bianco e ispeziona le opere in maniera attenta, meditando profondamente sulla diagnosi e poi facendo un intervento il più possibile reversibile, che possa essere sempre rimosso in futuro, se necessario. Il suo è un lavoro di testa, di pazienza, di leggerezza e curiosità per la bellezza inventata dagli artisti.
Paola Lambardi: Come hai iniziato a fare questo lavoro? Qual è il tuo percorso di studi e come ti sei specializzata nel restauro della carta?
Lucia Tarantola: Mi sono avvicinata all’arte nelle Scuole superiori, frequentando Milano l’Istituto d’Arte Beato Angelico e mi ricordo che già in quarta mi domandavo: cosa farò? Cosa mi piacerebbe fare? Ho pensato al restauro, e non saprei dire esattamente da dove sia nato questo desiderio, forse perché la mia scuola aveva eseguito il restauro della chiesetta di San Pietro al Monte di Civate e avevo subito il fascino di questo lavoro. La stessa scuola mi ha indirizzata a un restauratore di dipinti su tela, che li seguiva e collaborava con loro. Dopo la maturità ho frequentato per qualche anno il suo studio e ho iniziato ad imparare per così dire “a bottega”, lavorando sia nel laboratorio che nei cantieri esterni. Presto mi sono resa conto non mi era sufficiente lavorare e imparare con le mani, ma avevo bisogno di conoscere, di studiare, per crearmi una buona base teorica, senza la quale sarei stata solo un’esecutrice e non avrei avuto le capacità teoriche e mentali di decidere cosa è meglio fare nell’affrontare un problema di restauro. Quindi ho deciso che avrei voluto frequentare una scuola specifica e mi sarebbe piaciuto poter entrare all’Opificio delle Pietre Dure a Firenze dove però si accedeva solo tramite concorso. Ho provato tre anni di fila e finalmente sono riuscita a entrare. Nel frattempo tra un concorso e l’altro, continuavo a frequentare e lavorare nello studio di questo restauratore. Al terzo tentativo del concorso, era uscito il bando specifico per il restauro delle opere d’arte su carta e l’ho scelto. Non è stata una decisione molto meditata, anzi un po’ casuale… Ho pensato che c’erano già molti restauratori di dipinti, mentre nel settore della carta mi è sembrato ci fossero più possibilità, per entrare alla scuola e nello stesso tempo con meno concorrenza per trovare lavoro. Non sapevo esattamente cosa aspettarmi dal restauro della carta, ma mi sono appassionata subito. Mi sono resa conto che il disegno o il bozzetto di un’opera mi piace di più che il dipinto finito, perché nel bozzetto vedi proprio la mano, l’istinto, vedi molto meglio l’artista che nell’opera finale. Dopo quattro anni di scuola a Firenze dovevo decidere se tornare a Milano oppure no. Ovviamente mi sarebbe piaciuto molto rimanere, ma razionalmente ho deciso di tornare a Milano perché nel 1988 i restauratori della carta erano pochissimi e avrei avuto più possibilità. Con il diploma dell’Opificio delle Pietre Dure mi sono presentata ad alcune Istituzioni Milanesi e ho avuto la fortuna di iniziare subito lavorare, aprendo subito la partita iva necessaria per lavorare con gli enti pubblici.
PL: Quindi hai iniziato a lavorare perché ti sei proposta spontaneamente?
LT: Avevo una bellissima lettera di presentazione del direttore della scuola che allora era Antonio Paolucci — ex Ministro dei beni culturali, ex direttore dei Musei vaticani — peccato che non ne ho tenuto una copia… Questa lettera l’ho consegnata alla direzione dei Musei Civici del Castello Sforzesco, in Soprintendenza, in due o tre posti, non tanti. Subito i Musei Civici mi hanno chiamato per restaurare dei disegni di un certo livello: come primo incarico addirittura dei Boccioni! E poi da lì è nato tutto un po’ in maniera naturale, con il passaparola, a Milano ha funzionato molto bene e per tantissimi anni non c’era quasi concorrenza.
PL: Mentre adesso ci sono dei corsi nuovi con il cambio di ordinamento?
LT: Adesso per fare il restauratore in maniera seria, è necessario frequentare un corso di laurea magistrale a ciclo unico (un quinquennio) in Conservazione e Restauro di Beni Culturali (LMR02). Per il restauro della carta (perché è suddiviso in tanti percorsi a seconda dei settori) si sceglie il percorso formativo n. 5: materiale librario e archivistico, manufatti cartacei, materiale fotografico, cinematografico e digitale.
PL: Quindi non solo la carta, sembra molto completo adesso.
LT: Si, la mia formazione è stata diversa, era incentrata solo sul restauro di opere d’arte su carta, qualcosa anche in pergamena. Quando studiavo c’era una netta distinzione tra chi restaurava le opere d’arte su carta e chi restaurava i libri. Allora si riconosceva subito l’intervento di chi si era specializzato in libri. Nel libro devi mantenere la funzionalità, le pagine le devi poter sfogliare, l’intervento deve essere molto solido. Un’opera d’arte su carta, una volta restaurata, non richiede la stessa resistenza, la monti su un passepartout e non devi quasi più toccarla. Quindi anche i tipi di adesivi sono più blandi, ma la cosa più importante è che nell’opera d’arte su carta è molto importante anche curare l’estetica dell’intervento. Invece nei libri, in quegli anni cioè 30 anni fa, gli interventi non contemplavano le operazioni estetiche di ritocco, le integrazioni delle parti mancanti nelle pagine risultavano molto evidenti, di tono molto più chiaro rispetto all’originale. Ora la situazione è molto differente e le modalità di intervento sulle opere su carta e sui libri si sono avvicinate.
L’iter di studio attuale oltre alle opere su carta e libri e documenti, comprende anche il restauro delle fotografie (su diversi tipi di supporti, non solo carta) e anche il materiale cinematografico e digitale. È richiesto questo percorso che comprende un po’ tutto e poi nella fase finale degli studi t’indirizzi in un ambito specifico con la tesi, per approfondire e specializzarti in uno degli ambiti del percorso formativo…
PL: Quindi in questo settore è meglio capire come trovare una propria specializzazione?
LT: Si, perché hai più possibilità di lavorare. Per esempio conosco una collega emiliana che si è specializzata nei globi, nei mappamondi, e la cercano anche dall’estero. Bisogna trovare la propria nicchia in questo grande settore. La parte cinematografica e digitale può avere delle buone prospettive nel futuro, mi sembra una buona strada di ricerca.
PL: In effetti in questo momento diventa importante conservare i file digitali che spesso si smaterializzano per svariate cause, anche lì ci sarà bisogno di capire come fare a preservarli.
Per tornare al tuo lavoro, che abilità sono richieste?
LT: Oltre alla manualità, ci vuole tanta testa. Perché prima di mettere mano su un’opera, devi meditare, devi cercare di capire che cosa hai davanti. Pensare a quali possono essere le soluzioni per intervenire: approfondire, documentarti, confrontarti, avere questa capacità e umiltà di chiedere consiglio a qualcun altro. Ora è molto più facile con i social o il “gruppo restauratori” su whatsapp: puoi conoscere, chiedere e scambiare informazioni, aiuto, mentre fino a un po’ di anni fa era difficile anche incontrarsi. Avere la testa aperta per recepire e poi essere sempre aggiornati, sulle novità da provare, testare… E una cosa che forse arriva nel tempo, la pazienza, l’organizzazione e la capacità di aspettare e di riconoscere i tempi giusti per le cose. Non avere fretta. Perché se un’opera richiede un intervento di due giorni, non puoi pretendere che sia finito prima. Questa attenzione diventa molto educativa anche nella vita in generale. Ho notato che il mio lavoro mi ha formato anche in altri aspetti.
PL: Sembra molto Zen…
LT: Beh si, passi molto tempo da solo. C’è il rapporto con l’opera e con quello che stai facendo. Delle volte ho la radio accesa, ma la mia mente non segue, sono molto concentrata su quello che sto facendo, totalmente assorbita. Sicuramente bisogna avere una grande passione per dedicarsi a questo lavoro. Perchè non è facile anche sul piano economico, però con il tempo e dedicandosi seriamente, riesci a ottenere dei buoni risultati.
PL: Questo è molto bello: un lavoro che ti restituisca la capacità di affrontare le cose della vita, con questa calma che spesso ormai ci sfugge per i ritmi sempre troppo veloci.
LT: Invece nel restauro il tempo giusto è importante.
PL: Quanti siete come restauratori in Italia?
LT: Ah non saprei, nel gruppo siamo più di 300.
PL: Ah tantissimi!
LT: Da quando hanno istituito questo percorso molto regolamentato, ci sono tantissimi corsi ufficiali come quinquennio e possono essere nelle scuole del Ministero come l’Opificio delle Pietre Dure, l’Istituto Centrale del Restauro o la Scuola di Restauro di Ravenna o l’Istituto di Patologia del libro. Poi ci sono i corsi Universitari, come quello di Tor Vergata a Roma o Venaria a Torino e le Accademie di Belle Arti che siano accreditate per il quinquennio. Quindi i corsi che danno la Qualifica di Restauratore di Beni Culturali sono tanti. Esistono poi i corsi triennali, con cui consegui il diploma di tecnico del restauro, ma che non ti permette di avere incarichi diretti dagli Enti Pubblici, puoi solo lavorare con i privati, se l’opera non è notificata. Adesso la concorrenza è veramente tanta, non è facile trovare lavori, a me arrivano tantissimi curriculum di neo laureati…
PL: Prendi ogni tanto qualche persona nel tuo studio?
LT: È capitato raramente, sia perché lo spazio non me lo consente e perché non ho una regolarità di lavoro che mi permetta di prendere un assistente. Se operassi nel restauro di libri forse sarebbe più facile, per via della ripetitività delle operazioni su un grosso numero di pagine. Invece con i lavori che ho normalmente, ogni caso è a sé stante, devo capire e studiare l’intervento ogni volta e mi è difficile programmare il lavoro di una persona che sta iniziando… per non parlare del compenso: purtroppo un assistente è un impegno economico che non posso permettermi. Uno studio più grande e più strutturato ha sicuramente questa possibilità. Mi sembra comunque assurdo che lo Stato abbia istituito tutti questi corsi senza organizzare dei percorsi di lavoro post laurea per tutti i nuovi diplomati.
PL: Ci sarebbero delle possibilità di lavoro nelle istituzioni o nei musei? Perché sembra difficile grazie alla burocrazia italiana.
LT: Per lavorare negli enti pubblici devi per forza fare un concorso e l’ultimo è di 4 anni fa. Quello precedente era 25 anni prima, quindi è davvero complicato. L’unica possibilità è trovare il modo per essere inseriti all’interno delle scuole che si è frequentato con degli incarichi a progetto. Qualcuno collabora con la scuola di Venaria o anche con l’Opificio, ma sono periodi brevi e credo che richiedano di aprire la partita iva. Anche per collaborare con studi di restauro la partita iva è indispensabile, è molto più difficile venire assunti, per i costi molto alti da sostenere con dei dipendenti. Ultimamente la “Ales” (Arte Lavoro e Servizi S.p.A), società in-house del Ministero della Cultura fa assunzioni a tempo determinato per incarichi a tempo determinato all’interno di strutture statali.
PL: Qual è stata la tua esperienza in questo settore più significativa? Vuoi raccontare un aneddoto?
LT: Non saprei individuarne una più significativa, ce ne sono tante ma forse posso descriverti le foto che ti ho inviato perché spiegano meglio la varietà del mio lavoro. Normalmente intervengo su opere bidimensionale: disegni, stampe, fotografie. Gli interventi particolari per me sono quando l’oggetto è tridimensionale. La terza dimensione è un aspetto per me totalmente inusuale e richiede di lavorare in una maniera diversa. Nelle prime due foto sono al lavoro su una testa di cartapesta che è un’opera di Gaetano Dal Monte, uno scultore, ceramista faentino che si era specializzato anche nei lavori in cartapesta, arte appresa dal padre. Studiando questo artista ho scoperto che durante la Guerra aveva aderito alle Squadre di Azione Partigiana e le grandi sculture di cartapesta che avevano nel laboratorio servivano per nascondere le armi.
PL: Si scoprono storie incredibili con il tuo lavoro…
LT: Si, davvero. Per questa testa in cartapesta dovevo ricostruire la punta del naso che mancava e ho eseguito una specie di intervento di chirurgia plastica con la polpa di carta. Per prima cosa ho fatto una prova a disegno per cercare di capire, seguendo il profilo, come doveva essere la punta del naso, e poi l’ho ricostruito, e infine ritoccato come si vede nella foto.
Un altro esempio di opera tridimensionale sono i fiori di cartapesta con la base in legno delle foto successive: sono dei modelli botanici dell’’800, della manifattura tedesca Brendel. Venivano usati nelle scuole, per mostrare alcune specie di fiori, molto ingranditi per permettere di vedere bene tutte le parti. Ne esistono anche di apribili per vedere l’interno. È stato un lavoro complesso perché erano parecchio fratturati e ho dovuto riconsolidarli e rimetterli in forma. Nella foto si vede una Viola comune, mentre quello bianco è il Conium che è il fiore della cicuta, una pianta erbacea velenosa che ha un’infiorescenza a ombrello. Il fiore è in realtà piccolissimo e questa è una vera e propria rappresentazione gigante del fiore. In un’epoca dove non era ancora in uso la fotografia, avevano la funzione di modelli realistici su cui studiare. Pare siano degli oggetti molto richiesti in questo momento…
Poi ho aggiunto le immagini del “The Souper Dress” della Campbell Soup di Andy Warhol, un oggetto curioso: un vestito di carta in fibra di cotone, tessuto con un filo molto sottile, molto delicato, datato 1966/67 che veniva regalato con i punti della zuppa Campbell. La cosa divertente è che veniva accompagnato con un foglio d’istruzioni su come pulirlo (non lavarlo, naturalmente), le righe gialle al bordo servivano per poterlo tagliare a seconda della lunghezza desiderata. Ne sono ovviamente restati pochi in giro, e questo in particolare aveva numerosi strappi, perché il proprietario lo aveva tenuto per tanto tempo su un manichino, quindi il peso verso il basso aveva causato lacerazioni orizzontali. Non è stato facile lavorare perché avevo un oggetto ‘doppio’ e non potevo aprirlo, ho dovuto creare una controforma in cartone che inserivo per lavorarci, mi sono dovuta inventare il sistema di come restaurarlo perché era davvero un caso inusuale.
PL: Ma era firmato da Andy Warhol?
LT: No, era solo autorizzato. Non so quanti vestiti sono stati distribuiti, però il riferimento era chiaro…
PL: Dopo il tuo intervento che consigli dai al proprietario per preservare l’opera?
LT: In questo caso gli ho praticamente fatto una fodera in carta adesa all’interno, quindi è molto più resistente, però l’ho sconsigliato di rimetterlo sul manichino per via di questa trazione verso il basso. Gli ho consigliato di montarlo in una teca con delle linguette che lo sorreggano tutto intorno, in modo da distribuire il peso su più punti.
PL: Vedo il modellino di una facciata molto importante.
LT: Si, è il restauro del modellino in cartone della Concattedrale di Gio Ponti a Taranto. Questa foto l’ho presentata a un concorso fotografico perché rappresenta il prima e dopo il mio intervento. L’opera è arrivata completamente a pezzi, alcuni raccolti in piccole scatole, da ricomporre come un puzzle. Grazie a una serie di foto che mi hanno consegnato i proprietari che erano state ricevute dagli eredi, e alla ricerca fotografica che ho fatto, sono riuscita a ricostruire la struttura tridimensionale di questa facciata.
PL: Quanto tempo ci vuole per un restauro del genere?
LT: Questo lavoro in particolare è stato molto lungo, la ricerca richiede molto tempo. Devi cercare la documentazione per capire bene il lavoro. Sulla scalinata c’erano dei triangolini in cartoncino (forse a rappresentare in modo stilizzato delle persone) e ne ho dovuto ricostruire parecchi perché ne erano rimasti molti meno rispetto a quelli presenti nella foto. Nel progetto e nella realizzazione finale la facciata si specchia in una grande vasca con un bellissimo gioco di riflessi.
PL: Ti capita di dover ricostruire anche la carta?
LT: Dove le carte presentano lacune, le ricostruisco normalmente usando carte giapponesi che faccio arrivare direttamente dal Giappone. Sono carte realizzate a mano in laboratori artigianali secondo i metodi antichi, utilizzando la polpa del gelso da carta. Per le opere moderne occidentali preferisco invece usare carte occidentali, realizzate artigianalmente con fibre di cotone, canapa o lino. La materia prima è molto diversa e diverso l’effetto: la carta giapponese rimane sempre un po’ più trasparente anche se metti tanti strati, ed è sempre molto ambrata. Per opere con carte molto chiare, spesse e compatte, utilizzo invece le carte occidentali.
PL: C’è questo lavoro su fondo verde, floreale, ce ne vuoi parlare?
LT: Si tratta di un pannello rivestito da una carta cinese dipinta, ma potrebbe essere anche una Chinoiserie, cioè una decorazione eseguita in occidente sul modello orientale, che andava molto di moda dalla fine del XVIII secolo. Il decoro rappresenta un intreccio di rami con fiori e uccelli su un fondo verdino. Facendo una ricerca iconografica, ho trovato carte molto simili nell’archivio del V&A Museum di Londra. Erano due pannelli in legno a cui erano incollate queste carte ed erano situati sulle due pareti della sala da pranzo di un appartamento privato a Milano. Prima del trasloco il proprietario mi ha contattato per controllarle ed eseguire interventi di manutenzione, prima di ricollocarle nella nuova abitazione. L’intervento sì è incentrato soprattutto sul fissaggio di sollevamenti e sul ritocco di cadute di colore. Ho dovuto ripristinare soprattutto le parti basse perché essendo in una casa si erano parecchio danneggiate in quei punti dove spesso si tocca la parete. Questi pannelli erano pesantissimi e il trasporto è stato un incubo perché per dimensione non entravano nell’ascensore. Ecco uno dei paradossi che ogni tanto capitano nel lavoro. Pensi che il restauro della carta sia una cosa delicata, leggera…
PL: Vista la globalizzazione, la velocità nella movimentazione delle merci in questa nuova epoca ‘Amazon’, favorisce anche la richiesta di restauro dall’estero?
LT: Il lavoro dei fiori Brendel mi è arrivato da Parigi per esempio, quindi ogni tanto, attraverso il passa parola, può capitare.
PL: Mentre la foto con una serie di opere, la vorrei commentare nel dettaglio con te.
LT: In effetti in questa foto ti rendo conto delle diverse provenienze: quello nel mezzo è il disegno del progetto delle suole Vibram, perché tra i settori d’intervento ci sono anche gli archivi delle aziende. Per esempio la Vibram ha circa 300 disegni tecnici su fogli da lucido che servivano per la produzione degli stampi delle loro suole brevettate.
PL: Questo è un tipico progetto di design, infatti ti volevo chiedere se, oltre all’architettura, all’arte o alle arti applicate, le aziende si rivolgono a te per la conservazione dei loro archivi?
LT: Si, alcune hanno un forte interesse nel mantenere e preservare i loro archivi. Per esempio anche i bozzetti delle grafiche e delle pubblicità. Ho lavorato tanto con la Pirelli e loro hanno dei bellissimi bozzetti grazie alla lunga storia nella comunicazione e dove hanno lavorato tantissimi grafici e designer importanti.
PL: La migliore grafica italiana…
LT: Mi ero innamorata dei bozzetti di Bob Noorda.
PL: Poi erano tutti fatti a mano questi lavori!
LT: Il primo grosso lotto di bozzetti (non ricordo quanti ne ho restaurati, sicuramente più di 300) copriva un arco di tempo dagli anni ‘20 fino agli inizi degli anni ’60, ed erano realizzati soprattutto a tempera, le parti scritte a china, tutto completamente fatto a mano. Dalla fine degli anni ‘60 fino agli anni ’80 i bozzetti sui quali ho lavorato erano già i layout per la stampa, dove le frasi erano stampate (fotocomposte) ed è interessante vedere come prima del computer era tutto un “taglia e incolla” con la Cow Gum (una colla riposizionabile molto usata in quegli anni, fornita di una paletta per la sua applicazione, ndr), te la ricordi?
PL: Come no! Ho iniziato a fare grafica proprio a cavallo di questa evoluzione.
LT: La paletta della Cow Gum la uso sempre quando preparo la colla, una pasta d’amido giapponese che devo cucinare e poi va passata al setaccio (sempre giapponese) e in quella fase la uso sempre e devo dire che sono particolarmente affezionata a questo oggetto.
Per tornare alla foto di gruppo: a destra del ‘chiodo’ Vibram, c’è un’incisione di Fattori, poi più a destra c’è un’incisione di Boccioni, salendo c’è una foto con delle finestre di Ghirri dove non ho fatto molto perché le foto sono molto delicate, se fai le cose sbagliate le rovini per sempre… C’è un trittico, ed è un’opera giapponese dell’800. Come vedi c’è molta varietà, devi ogni volta resettare la mente e adeguarti all’opera che hai di fronte, quindi anche l’approccio è diverso, ed è molto bello perché non è mai monotono
PL: Per concludere: cosa consigli a un giovane che vuole fare questo tipo di percorso in particolare sulla carta?
LT: Seguire l’iter che si diceva prima, perché andare a bottega non è sufficiente. Ci vuole anche tanta teoria, occorre studiare la chimica, la fisica, cose che in una bottega non puoi imparare e poi ci vuole anche la qualifica, il pezzo di carta fondamentale per lavorare. La formazione teorica permette una maggiore sicurezza per affrontare il lavoro e poi è necessario mantenersi sempre aggiornati e restare flessibili a tutte le possibili soluzioni. Per cercare opportunità e per approfondire gli studi, consiglio di fare un’esperienza all’estero, perché nei musei si possono fare degli stage e appena prima di laurearsi si può iniziare a cercare borse di studio, bandi all’estero.
PL: In particolare all’estero c’è un paese che consigli per questa particolare attenzione al restauro delle opere su carta?
LT: C’è sicuramente il British Museum, la Bristish Library a Londra dove in generale ci sono tante istituzioni, ma anche a Parigi, al Louvre, ai Musei Vaticani, in Olanda ad Amsterdam al Rijksmuseum. Poi Stati Uniti, Canada. Tutti offrono stage dove restare per periodi anche abbastanza lunghi.
PL: In Cina?
LT: Non so, non conosco dove poter studiare e approfondire il restauro in Cina. Ma per imparare il restauro con le loro tecniche si può fare richiesta per un tirocinio presso il “Hirayama Conservation Studio”, che è il laboratorio di restauro di arte orientale del British Museum di Londra. Per le opere giapponesi sono stata, grazie all’associazione Tobunken, a Berlino nel museo di Arte Orientale, dove ho seguito un corso che trattava i fondamenti base per intervenire sulle opere giapponesi secondo le loro tecniche e tradizioni. Tra l’altro organizzano corsi anche in Giappone e un giovane può certamente far domanda per partecipare.
PL: Grazie Lucia per la tua gentile disponibilità a parlare del tuo lavoro.
Link utili per chi vuole approfondire l'arte del restauro:
https://www.miur.gov.it/restauro
http://www.centrorestaurovenaria.it/
http://www.opificiodellepietredure.it/
http://www.icr.beniculturali.it/
https://www-2020.conservazionerestauro.lettere.uniroma2.it/
https://dger.beniculturali.it/istituto-centrale-per-la-patologia-degli-archivi-e-del-libro/
https://corsi.unibo.it/magistralecu/ConservazioneRestauroBeniculturali